La vicenda venuta alla luce alla fine del 2023 mi permette però di fare alcune considerazioni sul fenomeno del cosiddetto star system. Di tutta la vicenda, quello che trovo sconcertante è la svalutazione assoluta di ciò che significa fare beneficenza.

Arriviamo direttamente al punto senza perderci in chiacchiere.

Se faccio beneficenza a qualcuno, la faccio e non mi faccio pagare. Se sono testimonial di una campagna la porto in giro compatibilmente con i miei impegni e se sto raccogliendo soldi per loro non dovrei contestualmente raccogliermi per me. Posso capire un rimborso spese, che tale sia però.

In questo caso un azienda dolciaria ingaggia, per vendere un loro prodotto, la numero uno di Instagram in Italia, la paga circa un milione di Euro e imposta la campagna di pseudo beneficenza. La donazione per la causa scelta è di circa 50.000€. Queste due cifre messe a confronto già evidenziano un problema. Per Donare 50.000 € ne spendo 20 volte tanto per un testimonial. A questo punto l’obiettivo della campagna pubblicitaria qual’è? Prima di tutto rientrare dall’investimento, non certo la beneficenza.

Interpellata sul punto l’azienda dolciaria che aveva fatto delle uova negli anni precedenti con una metodologia simile sembra abbia dichiarato che ha terminato quel tipo di promozione perchè il cachet dell’influencer era diventato insostenibile,

Aggiornamento. La faccenda sembra espandersi ed oltre a uova e pandori stanno scavando anche nelle precedenti campagne, anti bullismo, arcobaleno ecc. I primi risultati non sono incoraggianti ma aspettiamo comunque notizie certe prima di lanciarci in ulteriori commenti.

In conclusione tutti questi soggetti devono darsi una regolata e non svilire il concetto di beneficenza altrimenti la gente continuerà a comprare gli oggetti pubblicizzati dagli influecer, ma avrà una scusa per smettere di fare beneficenza. Noi vorremmo l’opposto, ma siamo dei sognatori.


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